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ALLA RICERCA DELL'ULIVO PERDUTO

Una volta l'Ulivo affondava le proprie radici in un terreno ricco di forte volontà di riscatto dalla partitocrazia e dalle ruberie demo-craxiane. Era il naturale sbocco politico a quella rivoluzione giudiziaria portata avanti da Di Pietro, Colombo e Davigo. Tutti i partiti che all'Ulivo si richiamano puntarono, allora, molte delle loro carte sulla società civile, anche se questo riferimento poteva risultare anche eccessivo a chiunque sapesse come nella società civile possono allignare gli stessi germi negativi sui quali i politici, quelli fini, e la politica tout court, spesso avevano fatto nel passato la loro fortuna. Tuttavia, il riferimento alla società civile, quella sana, era un piacevole stormir di foglie (d'ulivo, s'intende) per un apporto di fresche energie, che la "vera politica" aveva ostentatamente tenuto lontano, considerandole prive di quella disponibilità allo scambio di favori, accordi ed ammiccamenti ritenuti indispensabili ai giochi di potere.
"La politica ai politici", si diceva una volta. A tutti gli altri si diano i club. Ma il vento del rinnovamento che aveva soffiato dalla metropoli milanese indusse i partiti a non disdegnare più l'apporto di quelle personalità non impegnate direttamente in politica, ma stimate per il lavoro che svolgevano, per la serietà dell'impegno sociale, per l'onestà e la coerenza nell'affermare le proprie idee e dirigere le azioni. Beh, questo non esclude che forse qualche volta si è davvero esagerato, lanciando nelle istituzioni personalità scialbe e senza che avessero mostrato alcuna pregressa abilità, le quali per il solo fatto di dichiararsi della cosiddetta "società civile" hanno ottenuto una ingiustificata preferenza su persone serie e preparate, che pure militavano nei partiti. Ma questo è stato l'errore nel sistema, non l'errore del sistema.
Tuttavia, si sa, i partiti hanno una certo vizio che in psicologia si chiama coazione a ripetere. I napoletani per definirla dicono, fatalisticamente: "Adda passa' a nuttate". Così, una volta passata la nottata, i partiti sono tornati ai vecchi amori. "Allelulia, alleluia, questa sera ci'ù mangiame tutte nuje (il tacchino)" e "meglio pochi ma buoni", laddove "buoni" è da considerarsi un aggettivo rovesciato. Con questa edificante logica, dopo soli pochi anni da quella rivoluzione, sono tornati alla grande i professionisti della politica, ritenendo che non fossero più necessari uomini nuovi e la promessa stagione delle riforme, né occorresse più far valere le idee sulle grandi manovre per le spartizioni. A Bologna, addirittura, non trovando accordo su un uomo di statura, a prescindere dall'altezza naturalmente, qualcuno ha detto: "Ma lo conoscono il simbolo?", ed hanno candidato una funzionaria di partito, di bella presenza ma assolutamente inadeguata a fare il sindaco di una grande capitale europea.
Ma, ci siamo proposti di parlare dell'ulivo e dobbiamo chiarire ai non addetti ai lavori agricoli che l'albero dell'ulivo di solito ha un corpo e due gambe che sorreggono la chioma. Il nostro Ulivo (quello con la maiuscola) ne aveva addirittura tre: la post-marxista, la cattolica e l'ambientalista. In realtà una cattiva coltivazione dell'albero ha fatto sì che, in poco tempo, delle tre gambe ne rimanesse una sola, neanche tanto robusta dopo le ultime elezioni europee, la quale ora è affiancata da una spalla (i DEMOCRATICI) ed ha intorno al suo insediamento nel terreno un intrico di cespugli, che non producono frutti, sono infestanti e, giacché sanno solo succhiare la dolce linfa, hanno l'effetto d'indebolire l'intera pianta.
Eppure tutto questo non ci può rallegrare. A ben guardare le sorti della nostra nazione, con il materialismo dilagante ed il consumismo strisciante; il mercimonio esteso un po' dovunque e su tutto, compreso il sesso; la disgregazione della famiglia; l'individualismo esasperato e l'incomunicabilità tra le generazioni; una televisione sempre più spazzatura, che quotidianamente assopisce le nostre menti e ci rende passivi; l'assenza pressoché totale di valori, compresi i millenari valori cristiani, ci fanno capire quale prezioso contributo potevano arrecare i cattolici progressisti alla nostra società, e come il loro impegno in politica avrebbe dovuto probabilmente avere uno sguardo più lungo ed un più largo respiro, certamente più nobili dell'arido rivendicazionismo di poltrone, sedie e, perfino, strapuntini.
Non avrei voluto parlare, invece, della caduta dei valori ambientali. Basta guardare la nostra città. Una lotta intensa, durata almeno quattro anni, di ambientalismo spinto. Perfino una sentenza dell'alta Corte di Strasburgo, a decretare la giustezza di quella lotta. E poi cosa abbiamo raccolto. Tornano le stesse argomentazioni di trent'anni fa. Il lavoro vince ancora sulla salute, come se ci fosse un'obbligata incompatibilità tra lavoro e salute. Bastava spostare di pochi chilometri il sito dei contratti d'area e restituire alle proprie vocazioni la bellissima piana di Macchia. Perfino hanno ora avuto la baldanza di farci ingoiare l'inceneritore - che tante strenue battaglie ha incitato nella nostra popolazione - senza che nessuno abbia mosso un dito.
Nelle elezioni politiche del 1996, Carlo Ripa di Meana, dopo aver ammesso che i Verdi avevano perso un terzo dei propri voti, ebbe il candore di dichiarare che essi, in effetti, avevano vinto, giacché alla grave diminuzione dei voti aveva corrisposto, di contro, un forte incremento dei loro rappresentanti in Parlamento. Inoltre - tra ministri, sottosegretari e presidenti di commissione - il numero dei posti strappati alla coalizione di governo era, addirittura, pressoché superiore al numero dei parlamentari eletti. Come se la difesa dell'ambiente passasse attraverso l'accaparramento di scranni o posti di governo e sottogoverno.
Non mi meraviglio, perciò, che i Verdi, nelle ultime elezioni europee, siano in Italia ulteriormente scesi all'1,8 per cento, e nella nostra città siano addirittura scivolati ad una esigua percentuale dell'1,1 con appena 241 voti, cioè quasi la decima parte di quello che la Lista Verde aveva ottenuto solo pochi anni fa.
Allora, cosa occorre fare, per rilanciare una delle poche idee brillanti emerse nel panorama politico dell'ultimo decennio?
Innanzitutto non fare seguire a Vernel il Nuovo Vernel. Pensare all'Ulivo 2, dopo aver costituito l'Ulivo 1, fa pensare che, con un'operazione di marketing (o di lifting?), i politici vogliano ancora ingannare la gente. E poi questa sequenza di numeri ci potrebbe spingere ad attenderci un crescendo col quale, come per i film di Rambo, si dovrà continuare all'infinito. Del resto, quell'operazione verticistica ed inconcludente, che è stato il passaggio dal P.D.S. al D.S., dovrebbe insegnarci qualcosa, no? A questo si può aggiungere che siamo già nel mese di agosto. I maestri olivicoltori c'insegnano che questo è il mese più propizio per radere a zero i cespugli. Se non si riesce a farlo in agosto, si fa ancora in tempo a decespugliare in settembre. Ma senza ulteriori indugi. Importante è liberare l'ulivo dai cosiddetti "succhioni". Mai sostantivo fu più azzeccato! In questo modo, non si disperderà la linfa che dal terreno sale ad infoltire l'albero (dei progressisti), consapevoli come siamo che esso, per crescere bene, deve avere un corpo solo, un paio di gambe, due spalle per ogni gamba ed una chioma con tanti rametti discendenti pieni di delicati frutti, che potremmo anche, con una facile similitudine, paragonare alla società civile.
Questo rilancio vero e salutare dell'Ulivo si può ottenere con una seria riforma del sistema elettorale e del finanziamento pubblico ai partiti, tale da premiare le aggregazioni tra i partiti piuttosto che, com'è stato finora, la loro frantumazione. Una siffatta operazione non indebolirà le idee ed i principi di nessuna forza politica che si richiama a questo albero, accrescendone, al contrario, la capacità di apporto nutritivo a tutta la pianta. Anche se mi rendo conto che questo salutare sistema di potatura manderà a casa diversi mediocri e qualche opportunista.
Ma pazienza, la vita è fatta così!
Italo Magno

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